Marocco: la Gola del Todra

E’ ora di vacanza. Metà maggio è ottimo per una meta come il Marocco, un Paese molto variegato che spazia da Città Imperiali al deserto punteggiato di oasi e palmeti, poi c’è la catena montuosa dell’Alto Atlante con la cima più alta del Nord Africa (il Djebel Toubkal – 4.167 metri) e poi gole, parchi naturali, laghi e pure Oceano Atlantico e Mar Mediterraneo: non c’è che l’imbarazzo della scelta. Grazie all’aiuto di Hanna pianifichiamo un itinerario che partendo da Marrakech ci porterà nel deserto di Mhamid a sud della catena dell’Atlante e al confine con l’Algeria per poi proseguire verso nord nelle Gole di Dadès e Todra. Panorami mozzafiato ed esperienze uniche ci accompagnano per giorni fino a quando giungiamo alle Gole: leggendo una delle Guide acquistate prima della partenza non avevo potuto fare a meno di notare le descrizioni di pareti di calcare con falesie di 200-300 metri, paradiso per scalatori e mi ero detto “chissà che in zona non ci scappi anche qualche grotta …”. Poi una volta là ho voluto verificare di persona.

 

Dal paese di Tinghir si risale a nord imboccando la valle di Todra tra palmeti e pareti di falesia rossa fino a giungere alla gola vera e propria dove si transita solamente dopo aver pagato 5 Dihram (50 centesimi di Euro) al “guardiano di turno”, ma in cambio per tranquillizzarci ci assicura che esponendo il biglietto possiamo anche parcheggiare lungo la pista! Assolutamente normale. La gola è il posto più turistico che visitiamo dopo Marrakech: autobus pulmini e mezzi vari (oltre agli immancabili super donkeys!) infestano i 500 metri della gola con pareti alte 200 metri ed una larghezza di appena 30/50 percorsa dal letto del fiume in secca. La sensazione è strana: sembra di essere in un bazar allestito in una mega-Napoleonica affollata. Un pò ci intristiamo, ma va detto che il panorama è superbo e dietro all’immancabile ristorante si affaccia una gran caverna a metà parete. Sorrido al buon indizio. Passiamo velocemente l’imbuto affollato e risaliamo in macchina la gola verso nord, ci aspettano altri 10 km minimo e ci ritroviamo ben presto quasi da soli. Paesaggi mozzafiato, qualche climber qui e là e pastori che cantilenano incessantemente “foto-dirham!” “foto-dirham!” per immortalare loro e le capre che accudiscono. Non paghiamo per principio e continuiamo a guardare a destra e sinistra fino a che noto sulla dx a circa 50 mt di altezza dei begli occhioni neri incastonati nelle falesie rosse. Stop e si va a vedere!!

 

Risaliamo il pendio roccioso con il naso all’insù puntando dritti alla meta. Tracce di capre e muretti. Sembra un pueblo messicano. Non c’è anima viva, ma è evidente che il sito viene usato saltuariamente dai pastori per proteggere loro e il gregge. Arrivo sotto ai paretoni. Incrocio le dita e scavalco gli ultimi massi per affacciarmi agli ipotetici ingressi … Fiato in sospeso … Poi la delusione. Purtroppo nonostante gli ottimi indizi si tratta di semplici ripari sottoroccia e non sono arrivi più o meno fossili. Comunque un paio di caverne-riparo sono di dimensioni “appropriate” e si addentrano per una decina di metri nella montagna. Non ho molto tempo per approfondire la ricognizione. Trovo un forno d’argilla per il pane misto a qualche immondizia post moderna (purtroppo): rimango stupito. Corro avanti e indietro sulle cenge, poi desisto. Un paio di ulteriori possibili ingressi sono alti e dovrei arrampicarmi o fare dei traversi, ma sono senza materiali. Peccato, mi rimarrà il dubbio. Estraggo il mio Galaxy e decido comunque di fare la posizione in WGS84 usando il magico programma Backcountry Pro e le mappe di Open Cycle che mi hanno accompagnato impeccabilmente per tutto il viaggio. Hanna mi immortala in un paio di foto, poi ritorniamo alla macchina. Chissà, magari un domani io o qualcun altro di passaggio … È stata comunque una bella sorpresa: visitate il Marocco, ne vale la pena!

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