Oplà, dopo soli vent’anni di fidanzamento io e Ambra quest’anno ci siamo uniti in matrimonio. Per il viaggio di nozze abbiamo optato per la Francia, paese da noi prediletto e frequentato da sempre: in programma il noleggio di un “bateau” da nove metri a Decize, in Bourgogne, e poi via su fiumi e canali, tra chiuse e canneti per 10 giorni e complessivi 180 km di navigazione.
Per raggiungere la suddetta località francese, l’unica scelta possibile è un viaggetto andata-ritorno di più o meno 2300 kilometri in Panda, vista l’incompatibilità del quadrupede Ajka con le stive degli aerei di linea da noi più volte utilizzati in un tempo felice, oramai lontano, quando non possedevamo un cane… Ed è proprio in questa fase della programmazione del viaggio che l’infido Demone della Speleologia, appollaiatosi sulla mia spalla, ha iniziato a tormentarmi sussurrando innominabili eresie che mai orecchie di sposo novello dovrebbero udire: “Tesssssoooro….siiiiii, povero Smeagol sempre viaggiato con cattiva Air France, bagaglio minimo, solo grotte turistiche… Gollum! Gollum!… Panda buona, capiente bagaliaio per corde e mosssschettoni…. il mio tessssoroooo… siiii”. Alla fine (non dopo molto, lo devo ammettere) cedo alle lusinghe dell’ipertiroideo mostriciattolo, e nonostante gli orribili anatemi scagliati da Ambra riesco ad infilare nel bagagliaio anche il kit completo del perfetto speleo in viaggio di nozze. Per non tirare troppo la corda (nel nostro caso necessariamente “superstatica” – mica siamo vili rocciatori…) la mia scelta è caduta su di un buchetto semplice e carino, dove dileguarmi tra foto e tutto per non più di due o tre orette, ovvero la Lézine du Champ-Guillobot, situata in una foresta presso la ridente cittadina di Poligny, nella regione dello Jura, a “soli” 200 km dalla base fluviale di Decize. Un pozzo da quaranta ed una favolosa galleria di un centinaio di metri con concrezioni definite nella descrizione della cavità “le più belle della regione”. Ottimo!
Il viaggio in auto da Sgonico, a dispetto delle previsioni, è insolitamente rapido e confortevole: il mitico Pandino, da poco acquistato di seconda mano, si rivela comodissimo e silenzioso, oltre che parco nei consumi. Il cagnaccio ronfa sul sedile posteriore, tra le due valigie, per tutto il percorso, dimentico del mondo circostante e dei suoi affanni.
L’escursione fluviale, d’altra parte, si rivela come di consueto assai affascinante e remunerativa dal punto di vista estetico-culturale, anche se funestata da varie disgrazie, prima fra tutte l’estate peggiore dell’ultimo secolo che, oltre alla pioggia persistente, ci elargirà durante la navigazione un paio di simpatiche trombe d’aria (con relativo sradicamento di alberi secolari lungo l’argine) ed una “tempesta perfetta” con onde anomale (in canale navigabile?!? Ma checcazz…) e supplemento grandine (finalmente ho visto con i miei occhi i tanto decantati “chicchi grossi come noci”: esistono veramente!). Una sana esperienza marinaresca che mi ha trasformato istantaneamente da mite speleo in Capitan Pippus (Arrr…Corpo di mille balene!!!), con tanto di cicatrice, uncino, gamba di faggio e pappagallo rognoso sulla spalla (il quale, come prima cosa, ha sbranato senza tanti complimenti il povero Smeagol, con grande soddisfazione di Ambra).
Riconsegnato praticamente intatto il natante alla fine dei dieci giorni, eccoci partire alla volta di Poligny, con meteo finalmente favorevole. Breve sosta tecnica per depositare armi e bagagli in albergo e via verso l’ingresso della cavità. Dopo un breve tragitto in automobile, raggiungiamo l’altipiano e ci inoltriamo guardinghi nella Foresta di Poligny, camminando tra un albero e l’altro a passi felpati su un incredibile e sterminato tappeto di muschio, felci e funghi… manca solo David Gnomo per completare il quadretto, penso, mentre cerco con scarso successo di individuare la grotta nella posizione data. Le indicazioni in mio possesso sono un po’ carenti se non addirittura ridicole… sembrano vergate dalla penna dell’omologo francese del Potle… Trovo persino un promettente foro da allargare, se mai tornassi in zona (deformazione professionale…).
Alla fine, però, eccolo lì, l’ingresso! Sospirone di sollievo, corro a recuperare tutto il materiale in auto ed inizio a scattare foto dell’imbocco approfittando della presenza di Ambra, che presto mi abbandonerà per tornare all’albergo: non si può lasciare così a lungo Ajka legata fuori da sola… e comunque, se c’era una speranza di far scendere la mia consorte in grotta con me durante il SUO viaggio di nozze si è volatilizzata nel momento stesso in cui LEI ha scoperto che il nostro albergo è dotato di sauna, piscina riscaldata e Jacuzzi gratuita… Le chiedo comunque, per scaramanzia, se per caso vuole accompagnarmi, ma lei per tutta risposta sfodera il dito medio (immagino intendesse mostrarmi la fede nunziale per ribadire la propria devozione muliebre nei miei confronti, sbagliando accidentalmente falange) e si avvia verso l’auto sghignazzando, con Ajka che le trotterella dietro. Spero sinceramente che tornino a prendermi all’ora prestabilita… a piedi sino all’albergo è lunghetta.
Sono solo… Silenzio… Sto finalmente scendendo. Francia! La culla della speleologia moderna… Martel, Casteret, De Joly, eccetera eccetera… Trentatrè anni che vado in grotta, e dopo svariate spedizioni speleo progettate e naufragate prima ancora di cominciare, dopo decenni di vane peregrinazioni da semplice turista, sbavando privo di attrezzature dinanzi a fenomeni carsici a dir poco inquietanti, sono finalmente in grotta in FRANCIA!!! (….) Il pozzo è assai carino, con i suoi ponti naturali. Mi sento proprio a mio agio… altro che gòmene e parabordi! Ma… dove sono i fix? Hummmmmm…. che strano. Inizio col notare uno spit (marcio), altri due (mal piantati)… poi un vero e proprio giacimento di orrendi spit… spit ovunque, molti ideali per stendere il bucato, pochi adatti a sorreggere uno speleo seppur filiforme. Pare di essere alla Verde o ai Cacciatori vent’anni fa…. Ma…ma…?!? I francesi… la Spéléologie… oh, cazzo?!… per fortuna mi sono portato dietro anche alcuni bulloni Petzl, provenienti dalla mia collezione di reperti speleo giurassici e, bene o male, raggiungo velocemente (ma non troppo, per fortuna) il fondo della cavità.
Qui mi rinfranco alquanto, grazie alle magnifiche concrezioni. Con un sorriso estasiato estraggo immediatamente la fotocamera munita di spropositato grandangolo, ma quando mi accingo a montarla sul cavalletto (cinese, telescopico, pesava poco…) quest’ultimo inizia letteralmente a disintegrarsi. Prima una microscopica vite allentata, che tento subito di stringere col coltellino ottenendo solo un generale dissesto della struttura, poi il cedimento della parte superiore dell’innesto ed infine il distacco definitivo ed irrimediabile di tutti i componenti, gambe comprese. Lodi al signore si elevano sino alla volta del cavernone ed oltre, mettendo in fuga la fauna silvestre… Poi mi rassegno ed inizio a fotografare appoggiando, tramite i guanti fangosi, la preziosa Reflex su ogni pietra o concrezione che trovo.
Per uno strano caso, quelle situate nei punti migliori per lo scatto sono immancabilmente sferzate da potente stillicidio, e così devo accontentarmi di sistemazioni alquanto inadatte ad ottenere un immagine decente, ma comunque bagnate. Inoltre, essendo solo, incontro non poche difficoltà a dosare la luce nonchè a posizionarmi correttamente nell’immagine entro i dieci secondi dell’autoscatto. Sempre più infastidito dallo stillicidio incessante, corro ormai su e giù per la galleria come una formica impazzita, ottenendo più ditate sull’obiettivo che risultati apprezzabili. Alla fine, stremato, ripongo ciò che rimane della macchina nella custodia e mi accascio al suolo. Sono passate più di due ore, è tempo di rilassarsi un attimo. Mi rollo una cicca godendomi finalmente il panorama sotterraneo, fantasticando su Edoardo-Alfredo & Norberto, chiedendomi se, per caso, sono passati anche loro di qua in un tempo lontano…. Poi è tempo di risalire. Esco all’imbrunire, e mentre mi sto ancora cambiando odo il familiare rumore del Panda… Ambra ha avuto pietà di me ed è tornata a prendermi. Questo sì, che è amore!